Vi dirò una cosa su di me che forse avrete già capito: non ho grandi aspettative nei confronti del genere umano.
Quindi, ora, potreste pensare che non avendo fede nelle persone non dovrei restarne delusa, eppure, non è così.
Sono poche le cose che ormai mi lasciano basita, eppure, qualche volta (non di rado), accade qualcosa, o qualcuno, se ne esce con un certo discorso, ed io mi trasformo per una metà in una bestia di Satana, con tanto di occhi rossi e fumo che esce dalle orecchie (avete presente? Come nei cartoni animati insomma) e per in gelatina molliccia per l’altra, perché ormai sono così frustrata dall’orrore che permea questa società malata che, a volte, vorrei soltanto dissolvermi e svanire.
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Studio, lavoro e donne
Ecco, qualche giorno fa, mi sono trovata precisamente nella situazione psicofisica che vi ho appena descritto, in seguito ad una “triste uscita” da parte di un uomo (non che se fosse stata una donna sarebbe stato un discorso migliore).
Questo personaggio non aveva sicuramente alcuna intenzione di farmi adirare denigrando il genere femminile e demolendo decenni di lotte femministe, eppure, è esattamente ciò che ha fatto.
Ora, senza riportare le parole esatte di questo ebete, vi spiego brevemente il senso del suo discorso: lui è contrario agli studi dopo le scuole superiori per le donne.
Il motivo? Semplice: perché, a suo dire, "ad una certa età", tutte le donne iniziano a pensare a “fare figli” e sposarsi e, se studiano troppo a lungo, come fanno a portare a termine questo loro obbiettivo? Non è mica fattibile eh!
A questo punto io mi chiedo: ma ci sei o ci fai? Non che una delle due ipotesi ti possa giustificare ma è almeno per provare a capire il tuo ragionamento.
Insomma, secondo questa logica, dovremmo tornare indietro di decenni, di secoli, all’epoca della donna del focolaio. Quella donna d’altri tempi che era tenuta ad aspettare che l’uomo tornasse a casa per fargli trovare a tavola il pasto caldo e una famigliola felice e ben accudita. Certo, bello! Il fatto è che alcune donne possono desiderare effettivamente questa vita mentre altre desiderano altro, qualcosa di differente, e non vedo il motivo per cui un uomo, o chiunque altro di passaggio, debba permettersi di pensare che le donne non dovrebbero fare determinate cose che per gli uomini sono scontate come lo studio e il lavoro.
Donne e famiglia
Un’altra uscita che in particolar modo mi ha colpita per il ragionamento che l’ha creata: sempre secondo questo personaggio, con le donne si lavora meglio perché si dedicano di più alla famiglia che alla carriera e quindi, non essendo spinte dalla competitività, creano un ambiente accogliente all’interno di un ufficio.
Ma in base a cosa viene dato per scontato che le donne non siano competitive? Perché mai una donna non dovrebbe dedicarsi al lavoro? Perché si dà ancora per ovvio che una donna debba, per forza di cose, desiderare un uomo al suo fianco ed avere dei figli?
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Al giorno d’oggi sono moltissime le donne che, per un motivo o per l’altro, non hanno figli e, altrettante, quelle che trovano un equilibrio nella loro vita senza avere bisogno un uomo al proprio fianco.
Eppure, vengono ancora considerate inferiori rispetto agli uomini sul posto di lavoro e sbagliate in quanto donne perché, non avendo un uomo e dei figli, risultano differenti dall’idea di massa della classica donna e, dunque, vengono denigrate e scoraggiate. Non solamente da parte del sesso opposto ma anche dalle stesse donne che, invece di dare il loro supporto, si schierano contro, dalla parte cioè della massa.
La diversa produttività
Le donne vengono reputate spesso immeritevoli nel mondo del lavoro. Nel discorso a cui ho assistito veniva “spiegato” infatti che, per ampliare un’attività aprendo più uffici, è necessario riempirli di uomini in modo da fatturare di più mentre invece, se l’intento è quello di avere un unico grande ufficio, allora, deve essere inserita una quota di donne che copra 1/3 del personale (non di più, attenzione) perché fanno sì che si crei un ambiente più sereno e conviviale. Dove cioè risulta più semplice stabilire dei legami all’interno dell’ufficio rendendolo un ambiente lavorativo funzionale e, quindi, un lavoro migliore.
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Perché non più di 1/3 di donne? “Perché altrimenti l’ufficio diventerebbe un pollaio e non si lavorerebbe più”, questa è stata la spiegazione che mi è stata data dall’uomo in questione.
Le donne quindi non vengono prese in considerazione per la loro bravura al lavoro né per le loro capacità, ma solo per una funzione di collante all’interno di un ufficio.
Io polemica? Sì.
Non è certo la prima volta che sento discorsi di questo genere e non ne posso più.
Questa abitudine collettiva di immaginare le donne come un gruppo di oche/galline sminuisce il loro valore in quanto lavoratrici ma, soprattutto, in quanto persone ed esseri umani.
Questo tipo di ragionamento è totalmente irrispettoso e, purtroppo, molto comune ancora oggi nella società, tanto quanto il diverso metodo di misura del lavoro, secondo cui ci sono due metri e due misure differenti da usare per il lavoro femminile e quello maschile.
La necessità di femminilità
Un’altra differenza nella considerazione tra i generi? Secondo la maggior parte della gente, una donna per lavorare bene deve essere femminile e saper mostrare bene la sua femminilità in modo da riuscire a fare carriera.
Mentre un uomo viene ripagato del suo impegno sul lavoro con buoni risultati, una donna non può andare oltre ad un certo livello dato che, impegnandosi, perde di credibilità.
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Quindi, la sua unica arma, è la femminilità: fare gli occhioni dolci, sorridere, essere ammaliante e permissiva ma, soprattutto, non rispondendo a tono! Eh no, perché mostrando decisione e sicurezza perdiamo il nostro fascino e, quindi, l’unica leva che abbiamo a nostra disposizione.
Una donna sicura di sé non piace, non attrae. Dobbiamo mostrarci accondiscendenti e sempre gentili altrimenti per una donna, in determinati campi, diventa impossibile lavorare.
Questo discorso ovviamente mi fa uscire di senno! C’è però da dire che rispecchia perfettamente la realtà dei fatti.
Troppo spesso per le donne è più difficile fare carriera perché oltre alle limitazioni che vengono loro imposte dai datori di lavoro, dall’altra parte, hanno una serie di paletti che la società le ha portate ad avere e, che non permette loro, di lavorare al pari di un uomo. Quando un uomo risponde in maniera diretta e sicura suscita sicurezza e rispetto, mentre quando è una donna a farlo, risulta spesso irrispettosa ed arrogante. “Due metri e due misure”.
La parità di genere è necessaria, nella vita quotidiana, tanto a casa quanto al lavoro, perché non è possibile che nel 2021 vengano ancora fatti discorsi di questo genere basati sulle differenze che esistono tra le persone.
Compiere ogni sforzo necessario per garantire il massimo livello di partecipazione delle donne al mondo del lavoro, non è solo una questione di principio, quanto un presupposto necessario per lo sviluppo dell’intero sistema produttivo.
Alla prossima,
Fiorella Paolini