L'Arte Preraffaellita, un'arcadia primitiva

Vi siete mai chiesti come sarebbe stato ganzo far parte di una confraternita, perché si condividono gli stessi valori e pensieri? Nel pezzo di oggi ne conosceremo una più da vicino e cercheremo di scoprire meglio cosa volesse dire essere un Preraffaellita a cavallo della metà dell’800

Che dite? Siete pronti a tornare indietro nel tempo? Ci troviamo in un’epoca, in un’Inghilterra nel pieno della sua fioritura industriale che, ci condurrà poi, alla grande Esposizione Universale del 1851

Rimanete in nostra compagnia e, scoprirete, perché, alcuni sentirono la necessità di ritornare indietro nel tempo, o semplicemente perché “un tantino di nostalgia per i bei tempi andati non ha mai fatto male a nessuno”. Siete nel posto giusto.

Introduzione al movimento Preraffaellita

Sapete, vivere e viaggiare tra le terre anglosassoni e scozzesi mi ha permesso di toccare con mano e, io aggiungerei, anche guardare con un occhio giusto, quella che era la volontà di molti artisti e pensatori di quel tempo. 

Si voleva cioè tornare indietro o, comunque, riportare in vita lo spirito dei primitivi, e, cioè, di coloro che vennero prima di Raffaello: ecco perché Preraffaelliti. Raffaello è stato, da sempre, considerato troppo impregnato di affettazione accademica e stilemi leziosi ed artificiosi, non semplici, troppo arzigogolati, insomma. 

Non so se avete presente, e qui sto facendo il passo più lungo della gamba ma, ritengo sia necessario per darvi un’immagine pregnante e subito riconoscibile per far sì che si afferri il concetto, ma avete mai visto un tipico edificio o chiesa inglese

Spesso non vi ricordano qualcosa che sa di gotico, di antico, di classico, si insomma che sembra essere stato trasportato direttamente dal passato e semplicemente riadattato al suo tempo? 

Si, l’intento era proprio quello, voler dare l’impressione, tramite il tangibile e l’osservabile appunto, che the old ways (la vecchia via) non erano stati dimenticati, bensì, avevano ancora un cuore pulsante che batteva forte e, si opponeva, a quella che era la forza invincibile delle macchine a vapore e che sapevano di industrializzazione universale.

Ma chi erano i Preraffaelliti?

In un mondo pronto ad essere scagliato verso la più radicale contemporaneità, un gruppo di amici conosciutisi tra i banchi della Royal Academy: John Everett Millais, William Holman Hunt e Dante Gabriel Rossetti, nel 1848 fondarono la “Confraternita dei Preraffaelliti”. 
Si tratta di una vera e propria arcadia, nata per esprimere tutto il disagio nei confronti della civiltà industriale e del prevalere della macchina, la nemesi della creatività. 
 
La loro arte diverrà emblema di purezza, artisticità e semplicità. Quest'ultima si scagliava contro gli artificiosi tentativi di un approccio accademico e, per fare ciò, prendevano come modello, al quale ispirarsi completamente, il Medioevo e, in particolare, all’arte dei primitivi Italiani: Benozzo Gozzoli, Botticelli, Cosmé Tura, Beato Angelico, Giovanni Bellini. 
 
Quel Medioevo che tutti hanno classificato come l’età buia del mondo, era visto come una vera e propria età dell’oro e, fonte di ispirazione storico-culturale. Era imbibito di semplicità e senza artefatti e, quindi, veicolo di un sentimento popolare che, sarebbe potuto fiorire e, splendere, nella creazione artistica. 
 
Questo riguardava solo il mondo della pittura, era infatti incoraggiata la ripresa di qualsiasi attività manuale che entrasse a far parte dell’artigianato, inteso nel senso etimologico del termine. 
 
Un sentimento di natura nostalgica dunque. 
John Ruskin, il poeta vate del movimento che, dietro le quinte, fu capace di coinvolgere in questo grande progetto persino il principe consorte Alberto. Teorizzava quei pensieri di natura artistica e letteraria dei preraffaelliti il cui intento, ed è importante continuare a sottolinearlo, era proprio quello di viaggiare lungo una corrente opposta a quello che era il gusto del tempo legato a opere di genere esasperate e fin troppo irreali e puerili per promuovere una maniera nuova di fare arte e che, guardava alla purezza e severità dell’arte primitiva, quella del Quattrocento. Quel secolo che la storiografia del tempo identificava come il Medioevo, ecco perché si parla di primitivi.
 

Un’opera preraffaellita in cui ci ho lasciato il cuore

Sotto le note di una sentita e rinnovata religiosità che sapientemente si amalgama ad un simbolismo che sa di magia e mistero, il ritorno alla Natura, forza pulsante di vita e lontana da ogni convenzione accademica, è la via da intraprendere per risvegliarsi da quel torpore in cui l’arte inglese era ormai caduta. 
 

Ci tengo però a fare una piccola premessa perché voglio che capiate che la bellezza dell’arte, a mio avviso, è proprio nel suo essere eclettica in ogni sua declinazione e, facente parte, di un unico e lungo flusso che non deve essere per forza separato in maniera radicale da classificazioni temporali e sociali.
 
Io, Federico, studente magistrale di Beni Culturali storico artistici, sono un amante sfegatato dell’arte di Raffaello e, quella a lui immediatamente successiva e, non mi considero un appassionato e fedele dell’arte medievaleggiante, nonostante le dovute e più che ammissibili eccezioni. 
 

Eppure, guardare questo tipo di fare arte, così vicino a quegli stilemi, risveglia dentro di me qualcosa che mi porta a rimanere incantato e a perdermi per ore ed ore nell’osservarli, studiarli e comprenderli, e sapete perché
Perché non è tanto importante il periodo di riferimento, quanto il messaggio veicolato tramite l’immagine e, se questa riesce a trasmetterti sensazioni che io identifico con lo stupore, la meraviglia, quella un po’ arcana, appartenenza, richiami antichi e ctoni di un tempo passato, ancestrale e che ritorna in maniera ciclica sempre sotto diverse sembianze. 
 
Detto ciò, vi racconto di un’opera che ogni volta mi incanta come il migliore dei canti della sirena.

 

L’Astarte siriaca

È proprio in una di quelle zone temporali di passaggio che, si confondono tra la fine di una cosa e l’inizio di un’altra che, quest’opera di Dante Gabriel Rossetti, pittore-poeta, si situa (1875-77). 
Ci parla di un periodo in cui il movimento Simbolista stava già iniziando a prendere le redini e a diffondersi a macchia d’olio contaminando ogni cosa lungo la sua via. 
 
In questo olio su tela situato nella City art Galleries di Manchester, è rappresentata la divinità dell’amore, Astarte, una sorta di Afrodite o Artemide orientale, rappresentata frontalmente ed affiancata da due figure alate nelle cui sembianze sembrano esserne l’eco. 
In un’atmosfera misteriosa, durante un’eclissi rivelatrice di divinità tra sole e luna, si staglia la Dea che, in maniera sensuale, sembra avanzare verso l’osservatore nelle sue fattezze e volumetrie che ci ricordano, quelle michelangiolesche e non quelle della linea essenziale del Quattrocento toscano. 
 
Con le sue mani raffigurate in una posizione evocatrice di sensualità, si regge le cintole dorate sotto il seno prosperoso e, sui fianchi, mentre la sua veste verde dal panneggio bagnato che ricorda quelli di Fidia, sembra confondersi con quelle degli angeli che tra le mani recano una torcia e, che pare, stiano intonando un canto o un inno. 
 
Il verde, colore dominante, è simbolo di prosperità, ricchezza, amore rigenerato dalla speranza e, viene declinato, in tutte le sue sfumature: da quelle più scure a quelle più luminose delle ali degli angeli. 
 
Tutto è immerso in un’atmosfera che sa del sempiterno binomio Amore-Luce, di un’idealizzazione della bellezza femminile e, lasciatemelo dire, della bellezza universale: si, perché ognuno è bello a modo proprio.

E a voi, cosa comunica questo quadro, cosa vi dice?
Sentitevi libere e liberi di dire la vostra, di aprirvi al mondo dell’arte ed abbandonarvi alle vostre sensazioni più profonde. 

Un abbraccio e alla prossima.
 
Federico.

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